Più soli e più fragili

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Un abbassamento complessivo della qualità della vita della famiglia, anche quando si è riusciti a dare continuità alle attività quotidiane. Una drastica riduzione delle relazioni sociali legata a un isolamento che è andato ben oltre i periodi di lockdown più severo.

La percezione del peggioramento della propria salute e del proprio benessere psico-fisico, anche a prescindere dall'impatto della pandemia sui servizi socio-sanitari. Ansia, insicurezza e una visione negativa del proprio futuro.

È questo, in sintesi, il quadro dell'impatto dell’emergenza Covid-19 sulle persone con gravi malattie neuromuscolari e le loro famiglie, al di là delle conseguenze sanitarie legate al coronavirus. Così come emerge da 52 interviste (telefoniche o in videochiamata) realizzate dalla UILDM di Udine tra l’autunno 2020 e l’autunno 2021 ad altrettante persone con disabilità e loro caregiver, partendo da un questionario strutturato con 26 domande.

L'iniziativa rientra nel progetto “Non ti lascio solo” con cui l'associazione di volontariato friulana ha cercato anche di dare un ulteriore supporto alle persone con gravi malattie neuromuscolari e alle loro famiglie.

 

Il campione

Le interviste sono relative a 52 nuclei familiari della provincia di Udine in cui sono presenti 53 persone con gravi malattie neuromuscolari (44) o altre disabilità gravi (9) che fanno comunque riferimento alla UILDM di Udine.

In 39 casi si tratta di persone che utilizzano la carrozzina per gli spostamenti, negli altri deambulano comunque con difficoltà. Una trentina necessitano di assistenza continuativa per tutte le attività di vita quotidiana.

I maschi sono 27, le femmine 26. L’età è molto eterogenea e va da 6 a 79 anni (19% fino a 19 anni; 21% tra 20 e 39; 32% tra 40 e 59; 28% tra 60 e 79).

In 47 casi a rispondere all’intervista è stata la stessa persona con disabilità, in 6 è stato un familiare che fa assistenza (per lo più nel caso di minorenni).

Circa la metà degli intervistati studia (11) o lavora (14).

 

Attività quotidiane e qualità della vita

Circa un quarto degli intervistati (23%) non è riuscito a svolgere con regolarità le proprie attività abituali, mentre il 33% valuta un peggioramento complessivo delle abitudini quotidiane all'interno del nucleo familiare.

Ciò, in particolare, quando sono presenti figure di supporto esterne alla famiglia che, soprattutto nei periodi di più rigido lockdown, non hanno potuto garantire la loro presenza (23%).

Nella maggioranza dei casi, invece, le attività quotidiane legate alla vita delle famiglie sembrerebbero non aver risentito in modo significativo dell'emergenza pandemica.

Nel valutare questi dati, tuttavia, bisogna considerare che una importante parte del campione è composta da persone con gravi disabilità che vivevano già una significativa limitazione delle loro attività quotidiane.

 

La famiglia regge, ma paga

Inoltre, a gettare una luce diversa sui dati precedenti è il fatto che il 63% del campione afferma che la qualità della vita della famiglia è peggiorata.

In diverse situazioni il mantenimento delle attività ha richiesto spesso capacità di adattamento e una rimodulazione dei carichi assistenziali all’interno della famiglia o rispetto ai servizi di supporto (per esempio riconvertendo le ore di sostegno scolastico in ore di sostegno a casa). Così come ci si è dovuti adattare alle nuove condizioni di didattica a distanza o di smart working, che hanno, inevitabilmente coinvolto di più i familiari.

E anche se in qualche caso questi adattamenti sono stati percepiti addirittura come un miglioramento del proprio vissuto quotidiano (21%), per altri versi hanno finito per complicare le dinamiche familiari.

A condizionare le risposte, soprattutto delle persone con disabilità più gravi, è quasi sempre il rapporto con le figure che prestano assistenza. L'impatto delle restrizioni legate alla pandemia, infatti, è percepito come meno significativo laddove il caregiver principale coincide con un familiare che, in diversi casi, ha già ridotto o rinunciato a una prospettiva di lavoro per poter potersi dedicare in modo continuativo all'attività di cura.

Specularmente, tra quanti indicano un peggioramento della situazione domestica, spesso ciò è dovuto a problemi di salute del caregiver principale.

In sostanza, la rete familiare ha tenuto, ma continuando a pagare un prezzo alto: per alcune famiglie l'emergenza esisteva prima della pandemia e continua anche dopo.

 

Relazioni sociali e isolamento

Tutti gli intervistati segnalano una riduzione importante delle relazioni sociali, legata, a seconda dei periodi, alla impossibilità o alla maggiore difficoltà di uscire di casa o di ricevere liberamente visite di amici e parenti.

È un dato molto significativo se si considera che il questionario non fa riferimento solo ai periodi di lockdown duro (marzo/aprile 2020 e inverno 2020/2021), ma anche al periodo primavera/estate 2021 in cui la curva della pandemia si è attenuata.

Per ragioni di prudenza e timori di contagio da parte di soggetti particolarmente fragili, in molti casi c’è stata una sorta di autoisolamento protratto in modo continuativo nel tempo, al di là degli obblighi di legge, e che ha iniziato ad allentarsi solo alla fine dell'estate 2021 (per poi riprendere, con la nuova ondata legata alla variante omicron, a inizio 2022).

Una conseguenza di questa situazione si vede nel maggiore senso di solitudine e isolamento provato, molto o abbastanza, dall’86% degli intervistati.

 

Benessere e stato di salute

Un altro riflesso dell’impatto negativo dell’emergenza pandemica emerge dalla percezione che le persone hanno del proprio stato di salute e di benessere complessivo.

Ben l’84% degli intervistati ritiene che dall’avvio della pandemia nel marzo 2020 la sua salute sia peggiorata, mentre il 71% indica un peggioramento anche del benessere psicofisico complessivo.

In qualche caso questa valutazione nasce da dati oggettivi (aggravarsi della patologia, necessità di interventi chirurgici o ricoveri), ma si tratta di poche eccezioni. Per lo più il peggioramento segnalato è legato al maggiore isolamento, al senso di fragilità e incertezza innescato dalla pandemia.

Sentimenti che si aggravano quando, com'è accaduto nel 35% dei casi, la persona non trova nessuno nell’ambito familiare con cui confrontarsi e con cui condividere le proprie sensazioni. O quando, anche facendolo, come nella maggioranza dei casi, non ci si sente compresi e aiutati (circa il 19%).

Solo dieci persone dichiarano di avvertire la necessità di un supporto psicologico. Un bisogno che non viene espresso dalla maggioranza degli intervistati. Dai colloqui, tuttavia, emerge in diversi casi una certa ritrosia nel mostrare le proprie difficoltà e quasi un sentimento di vergogna nel pensare di ricorrere a una figura di cui a volte non è ancora ben chiaro il ruolo.

 

Contatti con i servizi

L’89% degli intervistati segnala un maggiore difficoltà nei contatti con i servizi socio-assistenziali e sanitari, che si è riflessa, anche se in modo meno significativo, nei percorsi di fruizione dei servizi.

In generale le conseguenze maggiori sono state sulle tempistiche delle prestazioni (recuperate nell'arco di qualche mese), non sulla loro qualità.

Non hanno invece subito conseguenze i rapporti con associazioni, patronati, sportelli e CAF (Centri di assistenza fiscale) i cui servizi sono sempre stati gestiti con puntualità, garantendo le medesime prestazioni degli anni precedenti, anche grazie allo sviluppo di forme di comunicazione a distanza e l'accelerazione di processi di semplificazione burocratica che hanno agevolato in modo particolare le persone con disabilità.

 

Utilizzo nuove tecnologie

L’uso delle nuove tecnologie di comunicazione, in particolare delle videochiamate attraverso lo smartphone o il computer, ha rappresentato un’opportunità importante per mantenere i contatti con amici e parenti o partecipare ad attività a distanza.

Tutti gli intervistati dichiarano di averne fatto uso. Confermando come l’emergenza Covid-19, sotto questo profilo, sia stato un acceleratore dell’alfabetizzazione tecnologica anche rispetto a chi, per età e abitudini, aveva meno confidenza con questi strumenti.

 

Ansia e paura per il futuro

Nel 73% dei casi la notizia iniziale della pandemia ha creato dapprima incredulità e poi ansia. Mentre il protrarsi delle misure di contenimento ha provocato un po’ di sconforto.

Nel tempo le cose sono un po' migliorate per il 36%, mentre sono rimaste uguali o peggiorate per il resto del campione. Malgrado l'avvio della campagna vaccinale, che all'epoca delle interviste appariva come una speranza per il futuro, ma che per molti non ha eliminato ansia e preoccupazione.

Il risultato è che nel 56% dei casi le persone guardano con pessimismo al futuro. La percezione negativa è legata in larga parte alle informazioni martellanti e contraddittorie che continuano ad arrivare da parte delle autorità e dei media, in particolare la televisione, di cui emerge un ruolo particolarmente negativo sotto questo profilo.

Del resto per l'88% degli intervistati anche l'informazione fornita dalle istituzioni sanitarie rispetto alla pandemia e alle sue conseguenze non è stata adeguata, risultando poco chiara o contraddittoria.

 

Il progetto e gli interventi

L'indagine è stata svolta grazie alla collaborazione di una psicologa in tirocinio con la supervisione di una psicologa professionista, nell'ambito del progetto “Non ti lascio solo” che ha visto, tra l'altro, anche l'attivazione di uno spazio di ascolto, lo sportello “Quattro chiacchiere con la UILDM”, e l'avvio di alcuni percorsi di supporto psicologico, quando questo bisogno è stato manifestato dalle persone che fanno riferimento alla sezione. Tutte attività che proseguiranno anche dopo la conclusione del progetto.

Al di fuori del progetto, nel corso degli ultimi due anni la UILDM di Udine ha cercato di mettere in campo una serie di attività a distanza che possano aiutare le persone con gravi patologie neuromuscolari a ridurre l'isolamento e mantenere i legami sociali.

 

Il progetto "Non ti lascio solo", che si è concluso nel febbraio 2022, è stato finanziato dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia con risorse statali del Ministero del lavoro e delle Politiche sociali ai sensi dell’art. 72 del D.Lgs. 117/2017 – Codice del Terzo Settore.

 

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